Il progetto della Darsena Europa, il grande ampliamento del porto di Livorno con la costruzione tra l’altro di una diga che si allontana dalla costa per oltre un chilometro non va realizzata. La Città ecologica Aps la ritiene un’opera di una fase storica, basata sul gigantismo delle navi e su una crescita continua del traffico marittimo. Per realizzarla sono necessarie circa 2 milioni di tonnellate tra pietre e massi, calcestruzzo per 150.00 tonnellate, 4 milioni di t di acciaio. Sarebbero emesse quantità enormi di gas clima-alteranti e consumate grandi quantità di energia per la sola realizzazione, senza contare l’inquinamento complessivo prodotto sia dalle navi che dal trasporto legato ad un eventuale aumento del traffico merci del porto.
Manca una programmazione nazionale dei porti: non è pensabile che tutti i porti puntino a fondali di 18 metri per intercettare portacontenitori da 350/400 metri. Gli effetti sulla costa pisana potrebbero essere catastrofici, fino alla completa scomparsa della spiaggia a sud di Tirrenia soprattutto se sommati agli effetti dei cambiamenti climatici con l’aumento di fenomeni atmosferici estremi (più forza e altezza delle onde) e l’innalzamento del livello del mare. Per Livorno la priorità è realizzare una migliore interazione con la ferrovia per aumentare la quota di merci su ferro, ora troppo modesta.
E’ opportuno che il Comune di Pisa si muova con più decisione, chiedendo di partecipare alla Valutazione di Impatto Ambientale dell’opera con un suo tecnico o ove non possibile, deve indicare gli studi relativi agli effetti sul litorale pisano di un’opera così ciclopica. Le spese devono essere a carico all’Autorità di Sistema Portula del Mar Tirreno Settentrionale, che promuove l’ampliamento. Inoltre deve essere chiaro che, nella malaugurata ipotesi di approvazione del progetto così com’è, i danni al litorale pisano devono essere a carico del porto di Livorno e non della fiscalità generale (dighe soffolte ecc). Sarebbe utile che i proprietari degli immobili nelle ex-colonie di Calambrone, quelli più a rischio di vedersi sparire la spiaggia di sotto i piedi e di trovarsi l’acqua in casa, si attivassero per seguire l’evolversi della situazione sia in termini legali che ambientali, creando un Comitato o comunque uno strumento per poter intervenire in prima persona.